Post-processing
Quanto incide l’elaborazione di un’immagine sulla sua qualità rispetto alla medesima che esce calda calda dal software di stacking utilizzato? Esistono tecniche standardizzate?
Prima di entrare nel cuore del discorso, occorre fare una breve introduzione che riguarda i due programmi leader nel settore dell’image stacking: Helicon Focus e Zerene Stacker. [Premetto che non sono in possesso del software Zerene, quindi mi si perdonino eventuali svarioni che saro’ lesto nel correggere nel caso si rendesse necessario].
L'immagine seguente mostra le due piattaforme di lavoro dei programmi Helicon Focus e Zerene Stacker:
Input: Helicon Focus è in grado di importare file in formato .JPG (8 bit), .TIF (8 bit o 16 bit), .DNG (Digital Negative, un formato sviluppato da Adobe, open) e molti formati RAW creati dalle varie case produttrici delle più diffuse fotocamere (.ARW per Sony, .NEF per Nikon, .CR3 per Canon…), mentre Zerene Stacker permette esclusivamente di importare i formati .JPG (8 bit), e .TIF (8 bit o 16 bit).
Il problema del formato .TIF è che non tutte le fotocamere permettono di salvare le immagini direttamente in questo formato, quindi se si vuole mantenere intatta la codifica a 16 bit (e non utilizzare il formato .JPG), occorre convertire tutti i fotogrammi da RAW verso .TIF, prima di importare in Zerene Stacker la serie di immagini da compilare.
Output: anche il formato di esportazione delle immagini compilate è leggermente differente nei due software, con Helicon Focus in grado di esportare files in formato .DNG (16 bit), .JPG (8 bit) e .TIFF (8 bit o 16 bit), mentre Zerene Stacker esclusivamente .JPG (8 bit) e .TIFF (8 bit o 16 bit). Da precisare che l’export in formato .DGN è possibile esclusivamente se in possesso della licenza Pro in Helicon Focus.
Perché complicarsi la vita ad utilizzare un formato RAW e invece non lavorare con il più leggero e facile .JPG? Riassumo parzialmente quanto riportato su Wikipedia per quello che riguarda i benefici nell’utilizzare il formato RAW in fotografia.
Utilizzare il formato JPG, significa che l’immagine che riceviamo ha già subito un processo (totale o parziale) di bilanciamento del colore, saturazione, contrasto e nitidezza. I parametri sono calcolati automaticamente o definiti dal fotografo PRIMA che l’immagine sia acquisita, quindi non è più possibile compiere profonde modifiche su questi valori. Esportare in formato RAW permette di accedere ugualmente ad immagini che sono già pre-elaborate dal software della fotocamera, ma queste impostazioni sono completamente gestibili, modificabili e migliorabili in fase di post-processing. Evidentemente questo richiede un passaggio ulteriore prima di importare il set di immagini all’interno del nostro software di stacking.
Il formato RAW possiede notevoli vantaggi rispetto al formato JPG, come:
- Presenta molte più sfumature di colori (da 4096 a 16384) rispetto alle 256 tonalità di un JPG a 8 bit compresso;
- Siamo in presenza di una qualità dell'immagine maggiore. Poiché tutti i trattamenti dell’immagine (come ad esempio l'applicazione della correzione gamma, la demosaicizzazione, il bilanciamento del bianco, la luminosità, il contrasto…) utilizzati per generare valori di pixel vengono eseguiti in un unico passaggio sui dati di base, i valori dei pixel risultanti saranno più accurati e mostreranno meno il fenomeno della posterizzazione (definita come effetto applicato ad un'immagine per cui questa viene compressa, riducendo il numero di livelli di colore, aumentandone il contrasto, ma diminuendo le sfumature);
- Si evitano i passaggi standardizzati effettuati dalla fotocamera, tra cui nitidezza e riduzione del rumore, per lasciare all’operatore la libertà di ottimizzare al meglio questi parametri;
- Le immagini JPG vengono in genere salvate utilizzando un formato di compressione cui corrisponde una determinata perdita in qualità. I formati RAW in genere utilizzano una tecnologia di compressione che permette di non alterare il valore del pixel (loseless), senza perdita di dati e di qualità;
- Esportare in formato .DNG o .TIF (a 16 bit) permette di avere un file in output con una dinamica molto più importante, e questo si rivela particolarmente interessante se si vogliono mettere in evidenza settori dell’immagine che possiedono zone scure o chiare. Inoltre, in fase di stampa professionale (poster di grandi dimensioni ed in CMYK), il formato JPG rischia di presentare in corrispondenza di zone ad elevato contrasto cromatico artefatti dovuti al processo di compressione;
- Controllo più fine. Il software di conversione delle immagini RAW consente generalmente all’utente di modificare più parametri (come luminosità, bilanciamento del bianco, tonalità, saturazione, etc.) e gestirli con una maggiore libertà. Ad esempio, il punto bianco può essere impostato su qualsiasi valore, non solo su valori predefiniti discreti come "daylight" o "incandescent", ed in maniera analoga la calibrazione colorimetrica, particolarmente importante quando si vogliono preservare i colori reali del soggetto fotografato;
- È possibile utilizzare diversi algoritmi di demosaicizzazione, operazione che permette di ricostruire la rappresentazione a colori di un'immagine partendo dai dati grezzi ottenuti dal sensore di una fotocamera digitale, e non solo quello codificato nella fotocamera stessa;
- Il contenuto dei file non elaborati contiene più informazioni ed una qualità potenzialmente superiore rispetto ai risultati convertiti, in cui i parametri di rendering sono fissi, la gamma di colori viene ridotta e potrebbero esserci artefatti di quantizzazione (dovuti alla tecnica di compressione con perdita di informazione e colori);
- Le trasformazioni dei valori della luminanza, ad esempio se si effettua un aumento dell'esposizione di una foto fortemente sottoesposta, risulta in un numero di artefatti visibili inferiore rispetto al risultato che si ottiene se lo stesso procedimento se compie su un’immagine già sottoposta a rendering;
- Tutte le modifiche apportate su un file RAW non sono distruttive; cioè, solo i metadati che controllano il rendering vengono modificati per rendere invariate le diverse versioni di output, lasciando invariati i dati originali.
Esistono ovviamente degli svantaggi nell’utilizzo del format RAW:
- Le dimensioni dei file RAW sono in genere da due a sei volte superiori alle dimensioni del file JPG, funzione ovviamente del livello di compressione. Questo richiede l’utilizzo di schede di memoria SSD con un maggiore volume di stoccaggio e velocità di accesso, tenendo conto che una sessione di acquisizione di immagini in macro-estrema può anche comportare centinaia di immagini ed occupare facilmente una decina (o più) di Gb;
- I differenti formati RAW non sempre sono compatibili con i software di elaborazione (che devono sempre subire aggiornamenti periodici), mentre il formato DNG, potenziale candidato per diventare un formato standard universale, non è stato ancora ufficialmente adottato da tutti i produttori di camere fotografiche. Questo ha portato alla creazione di numerosi formati RAW ed all’abbandono di altri, seguendo l’evoluzione della tecnologia di memorizzazione dei dati;
- Il tempo necessario nell’applicare il consueto workflow nel trattamento delle immagini è un fattore importante quando si sceglie tra formati di immagine non elaborati e quelli pronti all'uso. Con i moderni software di stacking, il tempo necessario per elaborare le immagini non pre-elaborate si è notevolmente ridotto, richiedendo comunque passaggi supplementari nel workflow rispetto all'utilizzo di un semplice JPG.
Lavorare con un file RAW (in Camera RAW):
I file RAW sono generalmente facilmente importabili in seno ai prodotti Adobe e, nonostante possegga una versione relativamente vecchia di questo software, non ho mai avuto problemi di sorta a leggere e visualizzare i files in Camera RAW. Esistono comunque molteplici piattaforme open source o meno, che sono in grado di importare ed elaborare i formati RAW senza problema.
Le operazioni effettuate, come correggere i valori dell’esposizione, la distribuzione dei colori, il contrasto, livelli dei chiari e scuri… vengono salvate automaticamente in un file in formato .XMP che accompagnerà ogni immagine RAW. Questo file contiene tutte le informazioni (i metadati) relative alle modifiche apportate alle immagini, modifiche che non si ripercuotono sull’immagine sorgente.
Terminata questa operazione si possono importare i files in Helicon Focus e lanciare il processo di compilazione. Attenzione! Helicon Focus non riconosce il file .XMP in quanto tale, quindi quando si visualizza l’immagine in questo software, essa apparirà come se non fosse stata elaborata su Camera RAW.
Concluso il processo di stacking, il risultato è esportato in formato .DNG e aperto nuovamente con Camera RAW. L’immagine viene visualizzata applicando i parametri definiti prima di importare i singoli files in Helicon.
Operare con questa modalità permette di non dover convertire i file RAW in formato .TIF o .JPG una volta esportati dalla fotocamera, e di conseguenza di risparmiare tempo nel trattamento dei dati, nonostante che il processo di calcolo su Helicon Focus risulti comunque più lento se paragonato all’utilizzo di un formato JPG.
Indipendentemente dal software che si utilizza, i trattamenti che si applicano sull’immagine finale, sono in principio assai standardizzati, funzione del soggetto fotografato e del livello di competenza acquisito da parte del fotografo.
Di seguito illustrerò sommariamente i passaggi che eseguo per ottenere un’immagine decente.
1- Operazione di Preparazione:
a. Corretto posizionamento della o delle sorgenti di luce. Questo merita un capitolo a parte che riprenderò su un’altra pagina;
b. Calcolo del numero di passi necessario per coprire tutto il soggetto (operazione effettuata automaticamente dal computer collegato al binario ed alla fotocamera) e funzione della dimensione del singolo passo;
c. Scelta dei tempi di scatto. Qui è importante che l’istogramma della luminanza sia il più possibile centrato, e la curva (tendenzialmente) una gaussiana. Questo istogramma è generalmente accessibile sullo schermo della fotocamera;
2- Funzione della dimensione del soggetto, delle ottiche utilizzate, del dettaglio che si vuole ottenere, i tempi necessari per finalizzare l’acquisizione possono variare da una decina di minuti a più di un’ora;
3- I files in formato RAW ottenuti durante la sessione di acquisizione sono importati in Camera RAW dove si inizia ad effettuare le modifiche da apportare all’immagine.
4- La correzione dell’esposizione per ottimizzare la curva della luminanza di ciascun canale è una delle prime operazioni. Questo permette di ottenere una dinamica su (quasi) tutta l’estensione dei valori dei pixels, dal nero (che si trova a sinistra dell’istogramma) al bianco (che si trova a destra dell’istogramma).
Generalmente non tendo in questa fase di lavoro a spostare i valori estremi della curva in corrispondenza delle estremità (cioè a sotto-saturare o sovra-saturare se sono in presenza di uno sfondo nero o bianco), ma lascio un 5-10% di zona senza valori. I bilanciamenti vengono effettuati utilizzando i cursori che gestiscono i toni chiari, il bianco, i toni scuri ed il nero. Non vengono modificati i valori della Saturation, Vibrance, Texture, Clarity, Dehaze che saranno presi in considerazione dopo aver calcolato lo stack. In particolare, modificare questi valori rischia di aumentare la visibilità del rumore di fondo in ogni singolo fotogramma, incidendo sulla qualità finale dello stack.
5- Una volta terminato in settaggio dei parametri, le operazioni sopracitate sono salvate in un file di metadata in formato .XMP (utilizzando Camera RAW).
6- I files RAW vengono importati in Helicon Focus; come già indicato in precedenza, questo programma NON riconosce il file .XMP, quindi non saranno visualizzate su schermo le modifiche apportate in Camera RAW sulle immagini. Quando effettuo lo stacking utilizzo sia il Method B che il Method C (in Zerene Software il Method B corrisponde al DMap, ed il Method C al PMax). Questo mi permette di paragonare i risultati ottenuti con i due metodi, e passare al processo di ritocco, sostituendo le zone meglio calcolate con un metodo con quelle dell’altro. Generalmente uso il Method B (meno soggetto alla presenza di riflessi), cui aggiungo le parti che sono meglio rappresentate con il Method C (miglior resa in corrispondenza di strutture complesse sovrapposte). Lo strumento di fotoritocco su Helicon è assai semplice ed efficiente.
Nell'immagine successiva ho evidenziato alcune differenze che si possono osservare utilizzando i due metodi B (a sinistra) e C (a destra).
7- Il file, una volta terminato il processo di correzione, è esportato in formato .DNG e importato nuovamente in Camera RAW. Il software riconosce la presenza dei metadata in formato .XMP, e visualizza il file con le correzioni apportate nella fase iniziale del trattamento. Se necessario ora si possono compiere operazioni di rotazione, ritaglio, aumento o diminuzione del contrasto e livelli di saturazione. Infine, passo su Adobe Photoshop (PS).
8- Generalmente la prima operazione che compio è la rimozione del rumore di fondo (noise), utilizzando il programma Topaz DeNoise (si può accedere al programma sia come filtro, a partire da PS, o come piattaforma indipendente). Questo software permette di eliminare il rumore di fondo effettuando anche un aumento del contrasto utilizzando algoritmi di intelligenza artificiale. Personalmente lo trovo molto valido. Il rumore di fondo generalmente non è particolarmente visibile, acquisendo immagini a 100 ISO, ma spesso la granulosità del cliché digitale emerge quando si lavora sui parametri come il contrasto e la tessitura.
9- Seconda operazione è la rimozione di eventuali tracce, macchie, polveri, graffiature o quant’altro che rendono l’immagine poco gradevole o “sporca”. PS permette di eliminare molte di queste imperfezioni senza grossi problemi e gli strumenti principalmente utilizzati sono lo Spot Healing Tool, il Clone Stamp Tool, il Brush (facendo attenzione a campionare correttamente il colore di sfondo e regolare correttamente i valori di Opacity e Flow del pennello), e per alcuni aloni che si possono presentare quando si hanno variazioni brusche di colore (come dal bianco di una conchiglia al nero dello sfondo) anche il Burn Tool. È chiaro che non bisogna andare di “mano pesante” anche perché le modifiche, se non si presta attenzione, saranno facilmente visibili una volta superata una certa “soglia” di correzione.
Applicazione dello Spot Healing Tool:
Applicazione del Clone Tool:
Applicazione del Brush Tool:
Applicazione del Burn Tool:
10- Il processo di fotoritocco prende fine con l’applicazione (se necessaria) del filtro Sharpen AI (sempre della Topaz). Anche in questo caso i risultati che questo software permette di ottenere sono assai impressionanti (click sulla foto per ingrandirla).
11- Infine, si procede al posizionamento della scala di riferimento (dovrebbe essere sempre obbligatoria). Il procedimento per calcolare la scala in funzione dell’ingrandimento utilizzato è assai semplice su PS, ma ritornerò sul soggetto in un post successivo.
12- Il file è salvato in formato .PNG e .PSD e archiviato per utilizzo futuro.
Quanto descritto in queste pagine può variare a seconda del soggetto che si fotografa. Un foraminifero di 500µm di diametro richiederà un processo di acquisizione che sarà senza dubbio differente da quello necessario per fotografare un insetto di 5 cm di lunghezza e munito di antenne, spine e setole sul carapace.
Immagine creata su Helicon Focus (a sinistra), e dopo elaborazione su Photoshop (a destra)
Le tecniche ed i risultati si evolvono con il tempo e la competenza, che fatalmente si acquisisce provando e riprovando [è stato quindi inutile leggere queste pagine, per imparare bisogna “solo” fare]. L’importante è di non abbassare mai la guardia, e la pazienza premia.
Felice stacking!
top come sempre e anche una cosa , che devo dire è molto interessante.....