Con il passaggio dal Precambriano al Cambriano, si passa da un mondo “buio” popolato prevalentemente da organismi ciechi ad un mondo ricco di luci e, probabilmente, colori. La possibilità di poter esplorare l’ambiente circostante e percepire le forme ed il movimento, ha permesso un grandissimo balzo in avanti per quello che riguarda la capacità di locomozione, di ricerca e di conseguenza adattamento a nuove nicchie ecologiche, oltre che allo sviluppo di nuove strategie di alimentazione. Non è chiaro quando è avvenuto, ed in quali condizioni, il passaggio da un’alimentazione “passiva”, cioè per assorbimento delle sostanze necessarie al metabolismo, autotrofica (McMeniamin 1986, 1988), chemiosimbiotica (note sono le tracce di Yorgia waggoneri impresse sulle peliti del Precambriano del White Sea, e che prendono nome di Epibaion https://en.wikipedia.org/wiki/Epibaion) e pascolo (come testimoniano Kimberichnus lasciate presumibilmente dal protomollusco Kimberella), ad un’alimentazione “attiva” legata alla ricerca, caccia e predazione di altri organismi.
La testimonianza più antica dell’esistenza di fenomeni di predazione la si osserva in alcune impalcature scheletriche di Cloudina (Shaanxi Province, Cina) datate al Neoproterozoico superiore, circa 545 Ma.
Cloudina è costituita da un’impalcatura calcarea a forma di cono avvolto su se stesso e creato da un ipotetico verme serpulide tipo Merceriella secondo Fauvel (1923), da vermi pogonofori (Ivanov, 1963) o tubi di vermi vestimentiferi come quelli che si rinvengono in prossimità dei camini vulcanici abissali, smokers, (Little et al. 1999).
In alcuni di questi fossili sono stati rinvenuti dei fori circolari (vedi foto seguente) probabilmente risultato di un fenomeno di predazione da parte di uno sconosciuto organismo (Bengston, 1994; Bengston & Yue, 1992; Hua et al. 2003).
Debrenne & Zhuralev (1997) criticano però questa ipotesi, considerando invece queste strutture circolari come il risultato di un fenomeno di cristallizzazione e dissoluzione locale di cristalli di dolomite.
Facciamo un salto di piu' di 500 milioni di anni e veniamo ad oggi...
Analoghe strutture (ammesso e non concesso che si tratti di predazione per Cloudina) si rinvengono frequentemente sulla conchiglie di lamellibranchi e gasteropodi, come quelle che sono visibili nella tavola seguente.
Questi bivalvi, ascrivibili al genere Venus sono stati rinvenuti sulla battigia delle piane di marea nel Mare del Nord in prossimità di Leiden, Olanda. Essi mostrano un chiaro foro di predazione circolare, localizzato in prevalenza nella parte medio-superiore della conchiglia, verso la cerniera, dove si trova in effetti la parte organica del mollusco. In due esemplari la predazione non è stata portata a termine con successo (seconda e sesta valva), non essendo presente all’interno della conchiglia alcuna continuità del foro visibile dall’esterno. L’organismo sopravvivendo all’attacco ha potuto cosi' ricostruire la parte interna della madreperla.
Ma chi ha effettuato questo tipo di foro?
Un’interessante pubblicazione (Carriker,1981 che potete trovare qui: www.vliz.be/imisdocs/publications/240294.pdf ) imputa la creazione di questi fori a gasteropodi predatori appartenenti alle Capulidae, Naticacae, Tonnacea, Muricacea e Vayssiereidae.
Il processo di ricerca ed identificazione avviene principalmente per via chemiorecettiva, ed una volta raggiunta la preda il meccanismo che compie l’azione meccanica di penetrazione è composto da due parti: l’organo vero e proprio di penetrazione (ABO: Accessory Boring Organ) e la radula. Durante l’azione meccanica intervengono anche la secrezione di probabile Acido Cloridrico (HCl), agenti chelanti ed enzimi che dissolvono la conchiglia stessa. Una volta raggiunte le parti molli una sostanza paralizzante viene emessa via ghiandole specializzate ed inoculate via la proboscide del gasteropode.
Da quando si hanno testimonianze di predazione di questo tipo? Nel Fanerozoico sono state evidenziate tre periodi temporali in cui l'attività predatoria si è manifestata; secondo quanto scrive Kowalewski et al. (1998) (articolo qui: http://geology.gsapubs.org/content/26/12/1091.abstract ) la prima fase di attività si manifesta a partire dal Cambriano (Conway-Morris S., Bengston S., 1994 – Cambrian predators: possible evidence from boreholes. https://doi.org/10.1017/S0022336000025567) sino al Carbonifero. In questa fase le attività di predazione per “borehole” sono principalemnte rivolte a faune di brachiopodi, ma echinodermi e molluschi bentonici sono ugualmente predati nella stessa maniera.
Nella figura un foro di predazione presente sul pigidio del trilobite Glossopleura gigantea (Resser, 1939), Spence Shale member, Langston Formation, Utah, USA, Cambriano medio.
Segue una seconda fase che si estende dal Permiano al Cretaceo basale in cui le attività predatorie per perforazione sono decisamente rare. Il motivo di una relativa assenza di questo tipo di predazione non è chiaro, sebbene si imputi ad un fenomeno di latenza, di non rapido adattamento ad un cambiamento dell’ecosistema o una modifica del sistema di predazione (alcuni Naticidi per esempio predano senza effettuare attività di perforazione).
La terza fase vede una ripresa della attività predatorie per perforazione, legate ad un importante differenziazione dei predatori durofagi.
Lo schema seguente mostra la distribuzione dele attività di predazione nel fanerozoico, come illustrato da Kowalkewsi et al. (1998) in fig.3, pag. 1093.
La predazione per perforazione quindi ha anche lei una storia molto interessante ed antica.
Quando troverete un giorno una conchiglia sulla spiaggia, con un piccolo foro circolare, pensate che la stessa tecnica di predazione si è sviluppata ben 500 milioni di anni fa e forse di più, ed è stata talmente di successo che ancora oggi è utilizzata dalla maggior parte dei predatori durofagi presenti in tutti gli oceani.
Norwoodia... mi ricorda qualcosa :-)
Se ne puo' parlare nella sezione relativa al Limulus, come antipasto.